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«L’incapacità del governo di concertare un intervento coordinato con regioni ed enti locali con lo scopo di fermare il virus richiede di mettere immediatamente a disposizione delle attività costrette alla chiusura nella zona rossa e arancione eque ricompense a titolo di compensazione». Così Berlino Tazza, presidente della confederazione nazionale Sistema Impresa, commenta il DPCM del Governo che stabilisce le fasce di rischio per le Regioni: Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria in zona rossa; Sicilia e Puglia in zona arancione; Campania, Veneto, Liguria, Abruzzo, Molise, Basilicata, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Marche, Sardegna, Umbria in zona gialla. Le fasce rosse e arancioni prevedono la chiusura di tutte le attività commerciali. Una decisione che già ha visto i sindaci dei territori, soprattutto della Lombardia, schierarsi in un fronte comune per contrastare la decisione del Governo che, spiega il presidente nazionale di Sistema Impresa, ha il grande demerito di «non tenere conto delle situazioni epidemiologiche differenti da zona a zona». «In questo modo – commenta Berlino Tazza, presidente di Sistema Impresa che riunisce prevalentemente Pmi del settore terziario – si crea un danno elevatissimo che rischia di compromettere ogni possibilità di ripartenza contraendo drasticamente i redditi delle famiglie, i consumi, l’attività delle imprese e i posti di lavoro».
«È evidente che le soluzioni messe in atto dal governo fino ad ora non hanno prodotto risultati, altrimenti oggi non saremmo nella condizione di dover chiudere ed applicare misure restrittive in tutto il Paese, con evidenti ripercussioni per le Regioni considerate a rischio elevato. Ci aspettavamo delle decisioni differenti che non sono arrivate». Così è scattato il piano di chiusura e il settore terziario, già pesantemente penalizzato nella prima ondata, ha subito nuove e drammatiche conseguenze: «Invitiamo il Governo ad essere celere nel varare eque ricompense a tutte quelle attività che non possono più lavorare. Il DL Ristori, nella prima versione, ha predisposto 5 miliardi di euro. Una cifra ampiamente insufficiente. Il Ristori bis dovrebbe prevedere 1,6 miliardi di euro sempre che sia possibile procedere nei tempi opportuni con un ulteriore discostamento di bilancio senza pregiudicare il negoziato europeo rivolto all’utilizzo del Recovery Fund. Le risorse, in ogni caso, non bastano. Siamo molto preoccupati. Ribadisco: non si doveva procedere con una classificazione regionale ma più accuratamente territoriale».
«Perché equiparare i quadri locali ed ammazzare così tutte le economie arenando la ripartenza di molte regioni tra cui Piemonte e Lombardia che hanno grande incidenza sul Pil nazionale?» Si domanda il presidente di Sistema Impresa proponendo due azioni principali. «Auspichiamo che l’analisi del Ministero della Salute, d’ora in avanti, tenga conto dei dati su base provinciale ai fini di un’ individuazione chirurgica della reale fascia di rischio. Occorre pianificare delle strategie territoriali ad hoc per monitorare, verificare e dimostrare come le azioni condotte sul singolo territorio siano sotto controllo. Per farlo ognuno deve assumersi delle responsabilità e, se necessario, rimodulare, ad esempio, la gestione dei trasporti e riorganizzare le fasce orarie di entrata e uscita dal luoghi di lavoro e dalle scuole. I rappresentanti delle regioni, degli enti locali e anche delle categorie economiche sono pronti a collaborare per individuare le soluzioni più idonee ed efficaci. Il governo, a questo punto, deve fare un passo indietro».